martedì 13 marzo 2007

UMBERTO D - VITTORIO DE SICA (1952)






Della grandezza artistica di De Sica (VITTORIO, il padre intendo dire, non certamente il figlio CHRISTIAN ...) è stato detto di tutto e di più. Così come per i suoi film, sempre magistralmente diretti. Un dato su tutti: "Ladri di biciclette" è stato incluso fra i primi dieci migliori film della storia del cinema.

Poco tempo fa ho avuto modo di vedere, o meglio di rivedere, "Umberto D." film del 1952 diretto appunto da Vittorio De Sica su soggetto di Cesare Zavattini. Ho detto "rivedere" in quanto lo avevo già visto, sebbene moltissimi anni fa, quando non ebbi modo di cogliere appieno le sfumature e la profonda umanità. Ma soprattutto il crudo carattere realista. O meglio, neo-realista, visto che si parla di Zavattini e De Sica (ripeto, il padre VITTORIO non il ... figlio CHRISTIAN).

Una cosa è piagnucolare durante la proiezione di una pellicola. Ben altra cosa è provare commozione, unita a un profondo sgomento, a un senso di incertezza nei confronti del futuro. "Umberto D." risale al 1952, eppure sotto certi aspetti è un film non solo attuale, ma anche - e soprattutto - terribilmente futuribile. Dal momento che questo mio post è un invito esplicito agli amanti del cinema d'autore a visionare il film (noleggiandolo o acquistandolo - non dovrebbe essere difficile reperirlo), non intendo narrare la trama. Dirò solo che la vicenda è incentrata sul personaggio di Umberto Domenico Ferrari, pensionato che non ce la fa più a "tirare avanti", nonostante i trent'anni di servizio in qualità di funzionario statale. L'unico accenno che faccio è alla scena di apertura: un corteo di pensionati chiede a gran voce l'aumento delle magre pensioni, prima di essere prontamente disperso dalle forze dell'ordine. Un tale inizio da il "tono" al resto della storia. A buon intenditor, poche parole .....

Detto questo, quando poco fa sostenevo la "futuribilità" della pellicola, intendevo dire che potrebbero - ahimè - essere non molto lontani i tempi raffigurati nella pellicola. Immaginiamo una storia analoga proiettata nei nostri giorni: ovviamente, al posto dei vecchi modelli d'auto vedremmo le figure aerodinamiche delle moderne auto "ecologiche" (ma lo sono davvero, le auto moderne, "ecologiche"???), così come al posto degli attempati anziani che sfilano al corteo tutti con l'immancabile cappello vedremmo uomini sulla settantina che indossano spavaldi blue-jeans. Certo, tutto sarebbe più moderno e attuale. Ma la sostanza? Per esperienza personale (i miei cari genitori), so che la situazione economica in cui versano attualmente molti anziani è tutt'altro che rosea. È pur vero che in un paese come il nostro, checché se ne dica, l'assistenza sociale e sanitaria a favore dei ceti più deboli in qualche modo funziona. Bene o male, funziona (almeno nella mia regione), lo posso confermare per esperienza personale. Resta solo da chiedersi una cosa. Fino a che punto ha senso millantare lo sviluppo del nostro paese (quinta, o sesta, o settima potenza economica mondiale che sia), quando basta guardarci alle spalle per capire che non è tutto oro quello che luccica?

Tornando al film, confermo nuovamente la profonda impressione che mia ha fatto nel rivederlo dopo tantissimi anni. La cosa che mi ha maggiormente colpito è la dignità del protagonista, uomo abbandonato e solo, fin troppo solo in una grande città che pare ignorarlo completamente. Le scene "top", secondo me? La visita al canile; il tentativo di fare l'elemosina; il cagnolino terrorizzato all'arrivo del treno.

Ma è il finale che maggiormente angoscia. Non vi racconterò com'è: dirò solo che mi ha lasciato un senso di profonda angoscia. Sta a voi, o curiosi visitatori del mio blog, immaginarne l'esito (qualora non abbiate mai visto il film). E se quindi siete fra coloro che non lo hanno mai visto, non perdete tempo. "Umberto D." vale 1000 volte di più di tante squallide pellicole. Quindi correte subito a noleggiarlo o acquistarlo. È uno dei quei film per i quali si può anche spendere qualche euro. Un film che difficilmente si dimentica.




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