venerdì 14 settembre 2012
IL LAVORO E I GIOVANI (LABOUR AND THE YOUTH)
Quelli che visitano spesso il mio blog avranno notato come, in certi periodi, Anonimo Veneziano sparisca letteralmente nel nulla. Gli amici più cari mi domandano addirittura se ‘tutto va bene – in parole povere, se sono ancora vivo (non solo in senso metaforico). Come è capitato, ad esempio, dallo scorso aprile fino a circa un mese fa.
Cos’era successo? Semplicemente, dopo mesi di ‘morta’ lavorativa sono stato letteralmente assalito da una mole incredibile di lavoro – un vero ‘regalo della Provvidenza’ in momenti come questi, anche perché tale ‘botta di sedere’ è stata frutto di una vera e propria casualità. Già, il lavoro che non c’è e che, quando c’è, è spesso retribuito male. E, sempre durante i mesi in cui mi sono assentato dal Web, è successa un’altra cosa che ha del mirabolante, un evento al quale voglio accennare per affrontare il tema dell’occupazione.
Mio figlio ha trovato lavoro. Ebbene, cosa c’è di strano? Può anche capitare, in tempi duri come questi, di trovare un ‘lavoretto’. Ebbene no: il mio adorato pargolo ha trovato un lavoro full-time, con contratto quinquennale ed uno stipendio che farebbe quasi gola ad uno dei molti disperati protagonisti di episodi eclatanti, come le cronache giornalistiche delle ultime settimane testimoniano (vedi lavoratori sardi, e non solo). Un lavoro full-time, con contratto quinquennale ed uno stipendio di tutto rispetto? Per caso, mio figlio si è laureato a Harvard? No, niente affatto: non ha nemmeno l’età della laurea, fra poco diventa maggiorenne e, soprattutto, ha il diploma di scuola media. Inferiore. Non ha voluto studiare: non è uno sciocco, al contrario: semplicemente, i professori constatavano che non era il tipo da stare dietro un banco.
Cosa è capitato allora? È capitato che un giorno passavo per caso davanti ad uno store e ho letto un cartello: “Cercasi ragazzo 16-18 anni, disposto a imparare e di buona volontà”. Entro e parlo con il titolare e, con mia grande meraviglia, scopro che quel posto è ancora vacante. Per la precisione, devo aggiungere che il titolare mi ha detto che si erano presentati alcuni ragazzi, i quali hanno rifiutato il possibile impiego in quanto (spesso ERANO LE PAROLE DEI GENITORI CHE LI ACCOMPAGNAVANO), dovevano ‘lavorare anche il sabato mattina’, oppure ‘si sporcavano e dovevano sollevare pesi in magazzino’ oppure’non potevano proprio fare SOLO una settimana di vacanza l’estate successiva (vale a dire, l’estate che sta finendo). Degli altri ragazzi messi alla prova, uno si presentava spesso in ritardo, mentre un altro andava in tilt (nonostante fosse all’ultimo anno delle superiori) quando doveva gestire gli ordini telematici e fare di conto. Ho capito subito il significato di tali parole e ho riferito il tutto al figliolo il quale, entusiasta del possibile impiego in un negozio che tratta articoli graditissimi ai giovani (scusatemi, ma non intendo specificare quali), ha accettato di lavorare 2 mesi in prova, dopo i quali è stato giudicato ‘abile e arruolato’, ovvero è stato regolarmente assunto (in regola con i contributi, ecc.).
Un impiego del genere, a nemmeno 18 anni e solo con la terza media? In una città preda della crisi come la mia? Ebbene sì. Dopo tutto, il ragazzo si dimostra in gamba nel lavoro e, pur non avendo un diploma, la conoscenza intuitiva (maturata ‘sul campo’) dell’informatica e di Internet, unita ad una sommaria conoscenza dell’inglese (tale padre, tale figlio), gli hanno permesso di assicurarsi un ottimo impiego. Per correttezza vorrei aggiungere un dettaglio: durante quel primo incontro, il titolare dello store sgrana gli occhi appena sente il mio cognome … In parole povere, un mio zio era suo carissimo amico d’infanzia e, da quel mio zio, si risale a tutta la mia sicilianissima stirpe, tutta a gente a posto e onesta, grandi lavoratori. Insomma, un cognome, una garanzia, e mio figlio porta lo stesso mio cognome, ovviamente. Raccomandazione? Garanzia? Abitudine tipicamente italiana (o ‘italiota’)? Fate voi. Sta di fatto che il pargolo è stato messo alla prova e si è dimostrato un ragazzo ‘in gamba’.
Tutto ciò non ha lo scopo di vantarmi di un’incredibile botta di fortuna che molti altri ragazzi, anche più preparati del mio, non hanno. Semplicemente, vorrei dire un’altra cosa: non è che molti ragazzi (sottolineo, MOLTI, non TUTTI) sono un po’ troppo viziatelli? INTENDIAMOCI, non voglio ribadire il concetto dei ‘giovani italiani bamboccioni’ che ha reso tragicamente celebri alcuni personaggi politici di un passato nemmeno troppo lontano (vedi l’onorevole – si fa per dire – Stracquadanio, oppure Renato Brunetta, il nano deforme ex-ministro).Non solo: la scuola PREPARA DAVVERO I RAGAZZI AL MONDO DEL LAVORO? Fino a che punto ciò che si apprende dietro ai banchi ‘serve’ veramente quando si inizia a lavorare seriamente in un ufficio o in un’officina?
Un’ultima osservazione, non meno importante: durante quel primo colloquio, il titolare mi ha garantito di non essere uno 'sfruttatore' ma, al contrario, uno che valorizza e gratifica (anche economicamente) i suoi dipendenti, a patto che se lo meritino. Una persona coerente, come ho già avuto modo di constatare durante questi primi mesi. Questa è stata la fortuna più grande: trovare un imprenditore che non sia uno ‘squalo’. Cosa ben diversa da un altro ben più celebre personaggio che proprio qui a Torino sta diffondendo grandi preoccupazioni …
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