“In tempi come questi, la fuga è l’unico modo per mantenersi vivi e continuare a sognare.”
(Henri Laborit)
Esattamente ad un mese di distanza dall’ultimo post, rieccomi qua. Non sono morto, né malato, né ho abbandonato la famiglia per scapparmene con una bella smandracchiona dell’Est europeo. Ho lavorato, sì, ma non al punto tale da dover trascurare il mio blog.
No, niente di tutto questo. La mia assenza prolungata è dovuta ad un incontro che ha in qualche modo sconvolto la mia vita. Un incontro con una persona che non vedevo da oltre trent’anni. Non una donna, bensì un uomo. (UN UOMO, DIRETE VOI? FORSE CHE ANOMINO VENEZIANO HA IMPROVVISAMENTE OPTATO PER L’ALTRA SPONDA?)
Niente di tutto ciò! Ho semplicemente reincontrato Massimo. Massimo ha 56 anni, essendo più vecchio del sottoscritto di otto anni. Quando ero molto piccolo, Massimo fu una delle persone che mi rimasero maggiormente impresse. Parliamo della fine anni Sessanta, quando avevo nemmeno dieci anni e lui era un adolescente. Adolescente ribelle, capellone e con una barba lunga – avete idea una sorta di John Lennon, ma con un viso un po’ più paffuto? Ecco come me lo ricordavo Massimo allora, quando faceva dannare i genitori con i suoi comportamenti anticonformisti e il suo look. Era uno di quelli che mia madre chiamava “disgrassià”, “discentrà”, insomma un casinista rompipalle in perfetto stile Sessantottino.
Parliamo quindi di quarant’anni fa, visto che siamo in vena di ricorrenze storiche (vedi il maggio francese – ma a chi potrà ormai interessare quell’epoca?). Ricordo la madre di Massimo che si lamentava con mia madre, per quel figlio che era andato chissà dove. Solo più tardi seppi che aveva trascorso un periodo in Inghilterra e, successivamente, in India. A metà anni Settanta, Massimo era anche stato coinvolto in una vicenda poco chiara legata alle attività della cosiddetta sinistra ultraparlamentare (per i più giovani, gli odierni “centri sociali”, “antagonisti” - chiamateli come meglio vi pare). L’ultima volta che lo vidi fu, appunto, una trentina di anni fa: lo ricordo alla perfezione perché da poco si era conclusa la tragica vicenda del sequestro di Aldo Moro. Sebbene fossi molto più giovane di lui, Massimo parlava volentieri con me, così come aveva fatto fin da quando ero piccolo. Fra l’altro, le nostre madri erano amiche di lunga data. Ebbene, quel giorno di primavera del 1978, Massimo mi disse una frase che spesso mi è tornata alla mente e che suonava più o meno così: “Qui tira una brutta aria, e sarà ancora peggio nei prossimi anni. Mi sa che me ne vado via dall’Italia.” Oggi, a trent’anni di distanza, capisco perfettamente cosa voleva dire …
Lo scorso 4 aprile, un venerdì, mi trovavo negli uffici dell’anagrafe centrale della mia città. Mentre aspettavo il mio turno in coda, mi si avvicina un tipo di mezza età, chiedendomi: “Scusa, ma tu non sei Domenico, quello che suonava le tastiere?” Fisso quel tipo, dall’aspetto sportivamente elegante. Guardandolo negli occhi, mi rendo immediatamente conto di chi è quella persona che mi sta davanti. “Ma dai! Massimo? Sei tu?” Era proprio lui.
Non mi dilungherò sugli esiti di quell’incontro. Dirò solo che dopo un abbraccio amichevole e qualche chiacchiera davanti ad un caffè, dopo essere usciti dall’anagrafe, ci siamo messi d’accordo per rivederci. E ci siamo rivisti ben tre volte, prima che Massimo ripartisse per l’ennesima volta, diretto in Australia, paese dove risiede da quattro anni.
Io e Massimo abbiamo alcune cose in comune: gli studi linguistici, la passione per la musica (anche quella suonata), un padre artigiano (i nostri rispettivi papà collaboravano fra loro, essendo rispettivamente un falegname il padre di Massimo e un tappezziere in stoffe il mio caro papà). L’unica differenza è che io ho vissuto quasi tutta la mia vita a Torino, mentre Massimo ha trascorso i due terzi dei suoi 56 anni oltre i confini italici. Fu proprio nel 1978 che decise di trasferirsi altrove. Dopo un breve periodo vissuto in Francia, Massimo si trasferì a inizio anni Ottanta in Svezia, proprio quella Svezia che io adoro e che conosco abbastanza bene. Per questo motivo non mi sono stupito dei resoconti che Massimo mi ha fatto del periodo da lui vissuto in quel paese. Fra l’altro, ho avuto modo di rinfrescare il mio pessimo svedese con lui, che ancora ricorda perfettamente quell’idioma. L’anno successivo all’omicidio di Palme - era il 1987, Massimo decise che la Svezia non faceva più per lui e si trasferì in Messico, dove rimase per cinque anni. Furono, secondo le sue parole, il periodo più intenso della sua vita, sia per il fatto che si dedicò esclusivamente alla professione di musicista, sia per le innumerevoli avventure amorose che ebbe. Tornato in Italia (nel frattempo, la sua famiglia si era trasferita in un sobborgo alle porte di Torino), dopo nemmeno un mese ripartì alla volta della Grecia, grazie ad un conoscente di Atene, città nella quale si stabilì a fine 1992. Memore dell’esperienza di apprendista falegname - esperienza maturata part-time da giovane presso il laboratorio del padre - Massimo lavorò in una falegnameria del Pireo per oltre due anni, dopodiché si trasferì sull’isola di Creta, dove lavorò sia come musicista sia come addetto alla sala bar di un centro turistico, sia svolgendo lavori occasionali durante la stagione “morta” del turismo. A Creta conobbe Popi, la donna della sua vita, quella con la quale ebbe una relazione durevole e intensa, tragicamente stroncata dalla prematura morte di lei. Fu un duro colpo per Massimo e il solo fatto di ricordare quell’evento fece comparire un velo pesante di tristezza nei suoi occhi. Disilluso e abbattuto - era ormai il 2001 - Massimo prese servizio su una nave che faceva la spola fra il Pireo e Creta, questa volta con la mansione di barman. Il lungo peregrinare sui mari non durò molto: infatti, nemmeno un anno dopo Massimo prese la decisione di cambiare nuovamente terra d’adozione. E questa volta puntò alla volta della Spagna, più precisamente Barcellona, città dove visse per due anni scarsi, fino a inizio 2004, quando decise che la Spagna - e l’Europa più in generale - lo avevano stancato e che sentiva nuovamente la nostalgia di lidi lontani. Fu così che, grazie ad un conoscente di Canberra, con il quale aveva instaurato un ottimo rapporto proprio a Barcellona, decise, nel marzo 2004, di trasferirsi niente meno che in Australia. Ed è in quel remoto paese che ha conosciuto Camilla (così mi pare di ricordare il suo nome), una coetanea con la quale vive serenamente in un sobborgo di Sydney.
Quando penso alla vita frizzante di Massimo, mi sento una merdaccia. Quello che mi ha maggiormente colpito di lui è la sua freschezza, il suo entusiasmo, la sua capacità di adattarsi a situazioni diverse. Massimo ha 56 anni, ma ne dimostra una decina in meno. Non si tratta soltanto dell’aspetto fisico: è piuttosto un qualcosa che emana da dentro. Una delle caratteristiche che gli hanno permesso di muoversi così agevolmente in posti diversi della Terra è la sua disponibilità, il suo carattere estroverso, la sua capacità di fare conoscenze e instaurare relazioni, in molti casi con persone “che contano”. Tuttavia, a sentire lui - e non ho motivo di dubitarne, conoscendo che tipo era ma, soprattutto, vedendo come si comporta ancora oggi - non si è trattato di semplice “adulazione” o ruffianeria: Massimo era il tipo che, ad esempio, mentre si trovava in Messico, aveva la possibilità (e la fortuna, se vogliamo) di conoscere e di entrare in confidenza con una persona la quale lo avrebbe “aiutato”, a distanza di anni, a sistemarsi in una città europea. L’ultimo suo spostamento in Australia - a suo dire, quello definito - rappresenta un esempio emblematico. Da come mi ha raccontato Massimo, è stata dura riuscire a stabilirsi agli Antipodi. Avevo sentito parlare delle difficoltà che si hanno per poter risiedere stabilmente in Australia, e Massimo me lo ha confermato. Non mi ha nascosto il fatto che la conoscenza di quel tipo di Canberra (un funzionario pubblico) è stata fondamentale.
Due sono le cose che mi hanno improvvisamente fatto sentire, come ho detto, una merdaccia (e che giustificano la crisi quasi-mistica che mi ha attanagliato nell’ultimo mese - motivo principale per il quale sono sparito dal mio blog). La prima è che Massimo ha sempre vissuto come meglio gli garbava, dedicandosi ad attività che amava e per le quali era portato. Tale sua versatilità mi fa in un certo senso invidia - un’invidia benevola, ovviamente, non accidiosa: in tutti questi anni, Massimo si è guadagnato da vivere prevalentemente suonando (il mio mito!) ma anche in altri modi: come ho detto, lavorando come barman e falegname. Non solo: ha anche insegnato italiano, ha lavorato come addetto portuale, ha organizzato eventi. La seconda cosa è che ha intessuto rapporti e conoscenti in mezzo mondo. L’ultima volta che ci siamo visti (lo scorso mercoledì), ho avuto modo di ammirare il racconto fotografico della sua vita, gelosamente custodito su un PC portatile contenente centinaia di foto (sia scannerizzate da originale sia digitali) che mostravano Massimo negli ultimi trent’anni, nei luoghi più disparati del mondo, in compagnia di non so quante persone - uomini e donne di ogni etnia e provenienza. Volendo, mi ha confidato Massimo, non avrebbe problemi a stabilirsi negli Stati Uniti, in Medio Oriente e perfino in Giappone. Ma è solo lui a scegliere dove andare. La sua conoscenza delle lingue straniere di certo lo ha avvantaggiato ma, soprattutto, è quel suo modo di fare ad averlo aiutato a sopravvivere - ma che dico, a vivere, e che vita! Già da ragazzo, ai tempi della contestazione, era uno dei leader studenteschi. Me lo immagino quindi dopo aver raggiunto la maturità, sparso in angoli diversi del mondo.
Come ho detto, Massimo è ripartito per l’Australia e, forse, non lo rivedrò più. Sebbene in tutti questi anni abbia fatto parecchie puntate qui a Torino - il motivo del suo ultimo rientro in Italia era incontrare la sorella per la cessione definitiva di un immobile di proprietà dei suoi genitori deceduti ormai da anni - è stato un caso più unico che raro averlo potuto incontrare. Ho meditato a lungo in questo mese, sentendomi - lo ripeto - una merdaccia: costretto a lavorare come un pirla per smadonnare il pranzo con la cena, quasi sempre preoccupato per le incazzature inevitabilmente derivanti dalla prole turbolenta, tristemente destinato a vivere in un paese di merda governato da personaggi secondo le quali bruciare una bandiera è un fatto più grave che pestare a morte per futili motivi un poveraccio capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma ancora una volta mi sono reso conto del fatto che “volere è potere”. Certo è vero che il caso e le circostanze della vita sono imprevedibili, che il più delle volte bisogna incontrare le persone giuste al momento giusto nel luogo giusto. Ma se si vuole raggiungere un obiettivo, il più delle volte i risultati sono perlomeno soddisfacenti. Bisogna solo avere il coraggio di osare.
Poi c’è chi è più fortunato, chi vive nella cosiddetta aurea mediocritas e chi, immancabilmente, è perseguitato dall’eterna sfiga. Così è la vita.
Ed è con questa considerazione che, superato il momento di crisi quasi-mistica, ritorno alla vita di tutti i giorni. E, soprattutto, a curare il mio blog.
Scusatemi per la lunga confessione-sfogo, ma ne sentivo davvero il bisogno.
ANONIMO VENEZIANO
Ben ritornato e credo che chiunque avrebbe avuto una crisi "mistica" come la chiami tu, incontrando dopo tanti anni un caro amico con un bagaglio umano a dir poco impressionante. Da una parte lo invidio "nel senso buono della parola" per tutte i luoghi che ha visto, per tutte le esperienze belle o brutte che siano che ha vissuto, ma nello stesso tempo sono contento di come ho vissuto, sono contento delle mia vita, di mi moglie dei miei tre adorabili figli e penso che rifarei tutto quello che ho fatto e vissuto nei miei 53 anni di vita. Non mi voglio dilungare quindi ben ritornato.
RispondiEliminaciao
Ms
Grazie Salam.
RispondiEliminaAnch'io sono convinto che la famiglia sia un patrimonio umano insostituibile. Tuttavia, ultimamente trovo davvero lungo a gestire certe cose e, guardandomi allo specchio, mi vedo "loffio", a differenza del caro amico Massimo che, a 56 anni, sprizza energia, entusiasmo e benessere da ogni poro. Rifarei anch'io le cose che ho fatto, anche se qualcosa lo cambierei.
Salutoni
ANONIMO V.
Ben tornato, di cuore.
RispondiEliminaTi aspettavamo.
Ciao sono capitato qui per caso e ho avuto la sensazione di guardarmi allo specchio, stessi gusti musicali e stessi amici liberi e selvaggi che mi ricordano quello che poteva essere. Solo un saluto da un altro che (a volte) si sente davvero una merdaccia... :)
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